Da tempo la riforma della giustizia tributaria è tornata al centro dell’attenzione da parte della dottrina, in particolare sulle pagine di questo Quotidiano.

Ma a fronte di tanta attenzione che ha coinvolto anche il Parlamento (si veda la proposta di legge n. 3734 presentata dal Partito Democratico alla Camera l’8 aprile scorso), non si scorgono ancora segnali dal MEF, in particolare da quel Tavolo tecnico interministeriale – istituito dai ministeri dell’Economia e delle Finanze e della Giustizia – e da quella Commissione di altissimo profilo che avrebbero il compito di analizzare il problema e di presentare alla politica una o più ipotesi risolutive.

Sulla assoluta necessità di riformare la giustizia tributaria il consenso mi pare unanime, così come unanimi mi sembrano le conclusioni sui due maggiori problemi che la assillano.

Il primo, presente a tutti i livelli, dalle Commissioni Provinciali alla Corte di Cassazione, è l’assenza della necessaria qualificazione e specializzazione della maggioranza dei Giudici proprio nella materia tributaria E non solo in quella direi, perché quando si devono preliminarmente affrontare questioni riguardanti l’imputazione a bilancio del componente di reddito sulla base dei principi di redazione nazionali OIC e internazionali IAS, la situazione diventa molto spesso drammatica. Ciò nonostante le decisioni vengono prese e senza l’intervento di un consulente tecnico ex art 7, D.Lgs. 546/1992.

Su questo aspetto, che si esprime nella “scarsa qualità delle sentenze” si è espressa, di recente, anche l’AIPDT (Associazione Italiana dei Professori di Diritto Tributario).

Il secondo problema è l’indipendenza dei Giudici. A me pare fuor di dubbio che debba essere garantita in modo pieno e reale la “terzietà” del Giudice, quale garanzia costituzionale a un giusto processo sancita dall’art. 111 Cost. Ricordo che la stessa legge delega n. 23/2014, all’art. 10, aveva   previsto “il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, assicurando la terzietà dell’organo giudicante” (co. 1).

Ma credo che non vi sia più alcun dubbio che per garantire questo valore occorra sottrarre al Ministero dell’Economia e delle Finanze la gestione, l’organizzazione, il finanziamento delle Commissione Tributarie e la valutazione dei Giudici, perché è una parte coinvolta e interessata nel contenzioso e non può svolgere contemporaneamente due ruoli, quella di parte e quella di datore di lavoro dei giudici.

Così come non credo che la terzietà possa essere garantita attribuendo il controllo sulla giurisdizione tributaria alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, quale soggetto ritenuto terzo, in forza del fatto che già oggi l’art. 29, D.Lgs. 545/1992, gli assegna l’esercizio di una funzione di alta vigilanza. Tale funzione è ben diversa da quelle gestionali esercitate oggi dal MEF, per cui, se la prima può essere mantenuta, apparirebbe inopportuno assegnargli anche quelle amministrative e di controllo.

Ma dopo aver elencato i mali, la domanda che sorge è sempre la stessa: dove collocare esattamente la giurisdizione tributaria, ammesso che veramente si voglia creare una nuova magistratura tributaria. Il dubbio viene perché, a parte le critiche al livello qualitativo delle Commissioni, non mi pare che, salvo alcuni aggiustamenti, si voglia prescindere da esse.

L’ipotesi che con maggiore fermezza è stata esclusa dalla dottrina (tranne che dal sottoscritto, ma subordinata ad alcune condizioni [1]) è quella di farla confluire nella magistratura ordinaria.

Persino il neo segretario dell’ANM Piercamillo Davigo, ha bocciato l’idea, ritenendo la promessa di garantire una di quelle condizioni – maggiori uomini e risorse – piuttosto inconsistente e, comunque, insufficiente a risolvere le attuali esigenze della giustizia civile.

Così come è stata esclusa – questa volta con maggiore condivisione – l’ipotesi di attribuirla alla giustizia amministrativa (TAR).

Personalmente credo che la soluzione che possa rispondere alla domanda che ci siamo posti innanzi derivi, per logica deduzione, dopo aver definito i punti fermi della riforma.

In primo luogo, i Giudici devono essere competenti: la competenza a dirimere controversie in materia di diritto tributario, tenuto conto dei legami che questa materia ha con altre branche del diritto (costituzionale, civile e amministrativo in primis), e delle correlazioni con altre tematiche presupposto, quali il bilancio di una impresa, si costruisce con un adeguato percorso di studi (mi riferisco soprattutto alle facoltà di giurisprudenza e di economia e alle necessità di ridefinire le materie di insegnamento).

In secondo luogo, se si pretende, come è giusto, una elevata professionalità è assolutamente indispensabile garantire una adeguata remunerazione che, in parte, potrà eventualmente, essere ancorata alla produttività ma, soprattutto, non potrà rappresentare un arrotondamento della pensione o dello stipendio di una attività diversa e principale. Quindi una attività professionale e a tempo pieno.

In terzo luogo, chi giudica su questioni così rilevanti come i tributi la cui definizione (e corresponsione) rappresenta il momento in cui si contemperano e si fondono gli interessi collettivi (dello Stato) e quelli singoli degli individui (cittadini-contribuenti) e si realizzano i principi costituzionali, deve essere un soggetto terzo, indipendente, senza i limiti attualmente presenti e già evidenziati innanzi.

In quarto luogo, lo status attribuito dovrà essere quello di magistrato, la cui assunzione nei ruoli dovrà essere la stessa prevista per l’accesso alla magistratura, nel pieno rispetto delle norme costituzionali con la specificità di criteri che garantiscano la preparazione, qualifica e specializzazione in diritto tributario. Naturalmente, considerata la continua trasformazione di questa materia, dovrà essere prevista una formazione continua (sul tipo di quella prevista per gli appartenenti agli ordini professionali).

Se questi sono i capisaldi, non credo si possa seguire la strada dell’implementazione o della riforma delle Commissioni tributarie solo perché queste hanno una tradizione “secolare” o sono state riconosciute come una sostanziale quarta magistratura – accanto a quella civile amministrativa e contabile – dall’art. 59, L. 18.6.2009, n. 69, il cui Capo IV contiene norme riguardanti la riforma delle giustizia tributaria.

Senza il riconoscimento dello status di magistrato, a tutti gli effetti, persisterebbe la differenza tra Giudici di serie A (civili, amministrativi e contabili) e Giudici di serie B (quelli tributari).

La strada da seguire, allora, dovrebbe essere quella di introdurre realmente una quarta magistratura, parificata alle altre tre sopra nominate, attraverso un intervento sul titolo IV della Cost. e, in specie, sull’art. 103, affidando a un apposito decreto attuativo la disciplina sull’organizzazione e il funzionamento della giustizia tributaria (così come avvenuto per quella contabile e amministrativa)

Poco dovrebbe importare se risultasse necessario approvare una legge di revisione costituzionale ai sensi dell’art. 138 Cost., con i tempi più lunghi che questa richiede, perché credo che, da un lato, sia finito il tempo della paura di creare giurisdizioni speciali estranee a quella ordinaria e, dall’altro, sia giunto il tempo di un maggiore coraggio, lo stesso che dovrebbe accompagnare la necessaria revisione dello Statuto dei diritti del contribuente [2].

In questo modo si potrebbe pensare, come una parte della dottrina auspica, di arrivare ad avere anche una Corte di Cassazione tributaria. Perché non va sottaciuto il fatto che il problema della scarsa qualità delle sentenze, dipendente dalla scarsa o nulla specializzazione in materia tributaria, riguarda anche i Giudici della Suprema Corte.

Il problema “Corte di Cassazione” non è di poco conto, anche dal punto di vista dimensionale: oltre la metà delle cause che approdano al giudizio di legittimità è di natura tributaria e occorrono anni per arrivare a sentenza. La necessità di ridurre l’enorme arretrato, sta inducendo il ministero della Giustizia a presentare un decreto legge che prevede l’ingaggio di 70 Giudici ausiliari da individuare tra i consiglieri in pensione che non abbiano già compiuto i 75 anni. E’ evidente che se da un lato, si può apprezzare la volontà di ridurre un problema, dall’altro, non si può non evidenziare che la definizione del giudizio sarà ancora messa nelle mani di Giudici privi di qualificazione bel diritto tributario.

Per questo si dovrebbe urgentemente passare da interventi di emergenza a una riforma sostanziale, a tutto tondo, della giustizia tributaria.

Naturalmente una riforma completa non può dimenticare l’obiettivo di ridurre il contenzioso giudiziario rispetto agli attuali livelli. Questo dovrà essere perseguito non puntando sull’istituto della mediazione di cui all’art. 39, co. 9, del DL 98/2011, affidata allo stesso soggetto che ha emesso l’atto impositivo. Questa è una attività che già svolgeva, e svolge tutt’ora, l’amministrazione attraverso l’autotutela amministrativa tributaria ex art. 2-quater, del DL. 564/1994, conv. in L. 656/1994, e DM 11.2.1997.

Se si vuole una vera mediazione, questa non può che essere affidata a un soggetto realmente “terzo”, professionalmente in grado di dirimere la controversia e trovare un componimento delle diverse ragioni delle parti, laddove possibile, senza però, che questo, significhi esaurire la controversia nel merito. In altre parole, al Giudice, non dovrebbe essere affidato il solo giudizio di legittimità, ma anche quello di sostituirsi, nel caso, alla funzione amministrativa attiva di determinazione del tributo, come attualmente previsto.

A tale riguardo, però, l’idea di affidare la mediazione agli attuali Giudici delle commissioni tributarie per non perdere l’esperienza acquisita andrebbe, in un certo qual modo, affinata. Perché se ci lamentiamo della scarsa qualità delle loro sentenze, rischiamo di lamentarci, in futuro, della scarsa qualità delle loro decisioni. Ragione per cui, il passaggio degli stessi Giudici a un “collegio di mediazione” dovrebbe avvenire anch’esso per concorso per titoli ed esami, che garantisca quella stessa preparazione, qualifica e specializzazione in diritto tributario auspicata per i Giudici.

  • Tax Director Italmobiliare S.p.A., Dottore Commercialista e revisore legale.

[1] Riforma della giustizia tributaria: qual è la strada giusta da seguire?, in Quotidiano IPSOA del 16.5.2016.

[2] Statuto del contribuente e costituzionalizzazione: una legge che può salvare lo Stato di diritto, in Quotidiano IPSOA del 28.5.2015.

 

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